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Читать Божественная комедия / Divina commedia

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© Каминская А. И., подготовка текста, комментарии, словарь, 2015

© ООО «Издательство АСТ», 2015

Inferno

Canto I

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura,

ché la diritta via era smarrita.


Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte

che nel pensier rinova la paura!


Tant’ è amara che poco è più morte;

ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,

dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte.


Io non so ben ridir com’ i’ v’intrai,

tant’ era pien di sonno a quel punto

che la verace via abbandonai.


Ma poi ch’i’ fui al piè[1] d’un colle giunto,

là dove terminava quella valle

che m’avea di paura il cor compunto,


guardai in alto e vidi le sue spalle

vestite già de’ raggi del pianeta[2]

che mena dritto altrui per ogne calle.


Allor fu la paura un poco queta,

che nel lago del cor m’era durata

la notte ch’i’ passai con tanta pieta.


E come quei che con lena affannata,

uscito fuor del pelago a la riva,

si volge a l’acqua perigliosa e guata,


così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,

si volse a retro a rimirar lo passo

che non lasciò già mai persona viva.


Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,

ripresi via per la piaggia diserta,

sì che ‘l piè fermo sempre era ‘l più basso.


Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta,

una lonza leggiera e presta molto,

che di pel macolato era coverta;


e non mi si partia dinanzi al volto,

anzi ‘mpediva tanto il mio cammino,

ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto[3].


Temp’ era dal principio del mattino,

e ‘l sol montava ‘n sù con quelle stelle

ch’eran con lui quando l’amor divino[4]


mosse di prima quelle cose belle;

sì ch’a bene sperar m’era cagione

di quella fiera a la gaetta[5] pelle


l’ora del tempo e la dolce stagione;

ma non sì che paura non mi desse

la vista che m’apparve d’un leone.


Questi parea che contra me venisse

con la test’ alta e con rabbiosa fame,

sì che parea che l’aere ne tremesse.


Ed una lupa[6], che di tutte brame

sembiava[7] carca ne la sua magrezza,

e molte genti fé già viver grame,


questa mi porse tanto di gravezza

con la paura ch’uscia di sua vista,

ch’io perdei la speranza de l’altezza.


E qual è quei che volontieri acquista,

e giugne ‘l tempo che perder lo face,

che ‘n tutti suoi pensier piange e s’attrista;


tal mi fece la bestia sanza[8] pace,

che, venendomi ‘ncontro, a poco a poco

mi ripigneva[9] là dove ‘l sol tace.


Mentre ch’i’ rovinava in basso loco[10],

dinanzi a li occhi mi si fu offerto

chi per lungo silenzio parea fioco.


Quando vidi costui nel gran diserto,

Miserere di me”, gridai a lui,

“qual che tu sii, od ombra od omo certo!”.


Rispuosemi: “Non omo, omo già fui,

e li parenti[11] miei furon lombardi,

mantoani per patrïa ambedui.


Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi,

e vissi a Roma sotto ‘l buono Augusto

nel tempo de li dèi falsi e bugiardi.


Poeta fui, e cantai di quel giusto

figliuol d’Anchise che venne di Troia,

poi che ‘l superbo Ilïón fu combusto.


Ma tu perché ritorni a tanta noia?

perché non sali il dilettoso monte

ch’è principio e cagion di tutta gioia?”.


“Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte

che spandi di parlar sì largo fiume?”,

rispuos’ io lui con vergognosa fronte.


“O de li altri poeti onore e lume,

vagliami ‘l lungo studio e ‘l grande amore

che m’ha fatto cercar lo tuo volume.


Tu se’ lo mio maestro e ‘l mio autore,